8-10 SETTEMBRE 2010
Workshop di danza a cura di
Societat Doctor Alonso
condotto dal coreografo spagnolo Tomàs Aragay

http://www.shorttheatre.org/ShortTheatre2010/workshop.html

Per la prima volta a Roma, ospite di SHO®T THEATRE, la compagnia spagnola Societat Doctor Alonso, oltre a presentare il suo spettacolo Volumen II già portato in numerosi festival spagnoli e francesi e al prestigioso Baryshnikov Arts Center di New York [domenica 5 settembre ore 21, Teatro India], propone un workshop di danza della durata di tre giorni. Il laboratorio, condotto dal regista e fondatore Tomàs Aragay, prenderà forma partendo dal lavoro della compagnia, sempre in bilico tra teatro, danza e performance. Il workshop è inserito nel programma IYME – International Young Makers Exchange, progetto europeo nell’ambito del programma Educazione e Cultura. IYME è costituito da un network di festival europei di teatro e danza che si propone di sostenere il lavoro di giovani artisti. Il network vede come capofila ITS FESTIVAL di Amsterdam e partner come Fàbrica do movimento di Porto, ACT Festival di Bilbao, Festival MESS di Sarajevo, Festival FIST di Belgrado, Festival ITSF di Varsavia, BEfestival di Birmingham. societatdoctoralonso.wordpress.com/ Tomás Aragay, regista, e Sofía Asencio, danzatrice e drammaturga, codirigono la compagnia. Pianificano ogni spettacolo o progetto dal punto 0 per mettere ogni volta in discussione il proprio linguaggio artistico. Mescolano i generi, le forme sceniche e persone sempre diverse, creando un proprio modo di abitare la scena. Gli piace vedere la scena come un luogo dove collocare, lì dove dovrebbe esserci spettacolarità, ciò che è il meno spettacolare possibile.

ACCADEMIA DEGLI ARTEFATTI  "DRESS-CODE: REALITY"
GIORNATE DI INDAGINE PRATICA E TEORICA INTORNO ALL’ATTORE CONTEMPORANEO

http://www.artefatti.org/
Un laboratorio è un’occasione importante, per chi lo propone e per tutti i partecipanti, di verifica del proprio stato del lavoro; di confronto sui diversi modi di pensare il teatro e il lavoro dell’attore; di scoprire drammaturgie nascoste o letture nuove sulle drammaturgie già conosciute; di sviluppo di un linguaggio più chiaro e preciso che permetta di condividere il proprio lavoro. Un laboratorio dà la possibilità di approfondire questioni teoriche, di lavorare con calma e attenzione. Dalla fine degli anni novanta accademia degli artefatti, dopo un periodo di teatro fatto di immagini e di spazi abitati performativamente, ha iniziato ad affrontare dei testi ‘veri e propri’, e specificatamente quelli appartenenti a una certa drammaturgia anglosassone (Sarah Kane, Martin Crimp, Tim Crouch, Mark Ravenhill). Questi testi post-drammatici (secondo la definizione che Lehmann ha fatto di post-drama) hanno permesso alla compagnia di proseguire un lavoro sulla presenza performativa in scena e insieme di ripensare il ruolo dell’attore e anche il senso del fare teatro. In questi testi i personaggi sono assenti o appena accennati, le didascalie inesistenti o mai decisive; i tic linguistici sono la trama stessa della scrittura drammaturgica; non c’è un dramma, nè l’astrazione di un dramma; il pubblico è chiamato ad un ruolo ‘pensante’ e critico (identico d’altronde al ruolo a cui sono chiamati gli attori); i fatti sono fatti, teatrali o reali che possano sembrare: tutto avviene su un confine labile e insieme ricchissimo tra verità e finzione, realtà e verosimiglianza. accademia degli artefatti ha sviluppato lavorando su questi testi una modalità attoriale, e certo anche registica, basata su: un lavoro dell’attore a diversi livelli sempre compresenti (quello della persona che è, del personaggio che sembra dover essere, e dell’attore che sa di essere); sulle relazioni reali che vanno costruite nell’hic et nunc della scena tra attori, persone, attori e pubblico, spettacolo e pubblico; su una gestione critica del testo e delle battute e su un’attivazione di un pensiero scenico che abbia la qualità, la leggerezza e l’elasticità (la deconcentrazione, diremmo noi) del pensiero quotidiano, capace di farsi attraversare da tutto quello che accade; su un rapporto reale col pubblico (diretto o indiretto che sia) e sulla gestione dei tempi come risorsa per comprendere e aprire i diversi sensi dei testi (la pausa, quindi, come luogo in cui dare spazio al ‘bianco’ del testo, al non-scritto). Dagli inizi del lavoro sulla drammaturgia la compagnia ha organizzato laboratori con l’intenzione di confrontare, precisare e approfondire, la propria proposta attoriale. I laboratori DRESS CODE: REALITY sono stati così sempre parte integrante del lavoro di ricerca della compagnia. Diversi sono stati gli spettacoli che la compagnia ha costruito con questa modalità, approfondendone progressivamente alcuni caratteri e qualità. Una ricognizione di spettacoli molto diversi tra loro, come il monologo di Tim Crouch MY ARM, e ancora di Crouch AN OAK TREE (spettacolo per due attori di cui il secondo è nuovo ad ogni replica e partecipa senza sapere nulla del personaggio che sarà e delle battute che sarà chiamato a dire da testo), e BIRTH OF A NATION, uno degli episodi del ciclo epico di Mark Ravenhill SHOOT/GET TREASURE/REPEAT, permette di mostrare chiaramente lo sviluppo della modalità stessa. La proposta è quindi quella di un laboratorio pratico-teorico intensivo aperto ad attori e attrici, professionisti/e e non, e studenti/esse di teatro, in cui verificare la modalità attoriale che accademia degli artefatti propone, su testi oggetto di lavori già prodotti (Crimp e Ravenhill) e su altri in fase di oggetto di studio (Brecht e Fassbinder). Alle sessioni di lavoro pratico sui testi, saranno alternate sessioni teoriche e di lavoro fisico, con lo scopo di approfondire e chiarire la proposta della compagnia. L’intero ciclo di laboratori si colloca in un percorso di avvicinamento alla produzione 2011 della compagnia.

''La pelle dell'orso'' noi e gli animali e' il titolo del seminario laboratorio gratuito diretto e realizzato da Mascia Musy e Emanuela Giordano (marzo 2011)

Il corpo conduttivo.  Laboratorio condotto  da Melissa Lohman
Danzatrice/performer di New York City, fortemente influenzata dal butoh, danza di avanguardia giapponese.  Nel 2009, assieme a Yuki Kawahisa (performer,solista), Michele Beck (video-artista e performance-artista), Megan Nicely (danzatrice,coreografa) e Brendan Burke (musicista), apre lo spazio polifunzionale New York Dance Qube a Brooklyn NY, che diventa un punto di riferimento per danzatori, performer, musicisti, artisti visuali.

LA SERA DELLA PRIMA
Daria Deflorian
Alessandra Cristiani

Laboratorio per attori e danzatori
Le scene sulle quali si lavorerà sono tratte da alcuni film, in particolare da Opening Night (La sera della prima) di John Cassavetes.

Daria Deflorian. Attrice e regista di spettacoli teatrali.  Ha lavorato come attrice tra gli altri per Lucia Calamaro, Marco Baliani, Fabrizio Arcuri, Mario Martone, Pippo Delbono, Remondi e Caporossi, Fabrizio Crisafulli, Marcello Sambati. Nel 2006 ha lavorato a New York al NYTW in Kaos, diretta dalla coreografa Martha Clarke. E' stata assistente alla regia per Anna Karenina di Eimuntas Nekrosius, Edipo re di Mario Martone e per Gente di plastica di Pippo Delbono. Nel 2006 ha presentato a Short Theatre Corpo a corpo, progetto condiviso con Alessandra Cristiani. Nel 2008 ha debuttato con Rewind, un omaggio a Café Müller di Pina Bausch, progetto condiviso con Antonio Tagliarini (presentato  anche in Germania, Portogallo e Spagna) e nel 2009 sempre con Antonio Tagliarini ha presentato from a to d and back again (un progetto ZTL-pro) liberamente ispirato alla filosofia di Andy Warhol, con le musiche di Fabrizio Spera. Attualmente sta lavorando con Antonio Tagliarini al progetto Reality a partire dal reportage di Mariusz Szczygiel. www.dariadeflorian.it Alessandra Cristiani. Premio Excelsior come migliore attrice per il corto La foto, regia Sara Masi (1997). Dal teatro di marca odiniana (Teatro Potlach, Toni Cots, Jean Paul Denizon, Teatro de los Andes, Nino Racco, Naira Gonzalez…) approda alla danza attraverso  una personale esplorazione del training fisico dell’attore. Studia danza contemporanea con Moses Pendleton, Giovanna Summo, Domenique Dupuy; tecniche del mino trasparente con Hal Yamanouchi; Respiro e movimento con il trainer Giuseppe Ravì; Qi gong con Solene Fiumani; Ideokinesis: Placement e Riposo Costruttivo con Ursula Stricker. Scopre la nuova danza giapponese (Butoh Dance) con Masaki Iwana, Akira Kasai, Akaji Maro, Tadashi Endo, Ko Murobushi, Joko Muronoi, Hisako Horikawa, Toru Iwashita, Daisuke Yoshimoto, Atsushi Takenouchi, Kohshou Nanami. Si laurea in Metodologia e Critica dello Spettacolo con la tesi sperimentale: Masaki Iwana e la tradizione del “Buto Bianco”. “The Intensity of nothingness”: Una metodologia della danza. Segue corsi di formazione all’Istituto Europeo Shiatsu (IES) di Roma.  http://www.alecristiani.altervista.org

UN LABORATORIO TEATRALE DIRETTO DA GIUSEPPE MARINI. ROMEO E GIULIETTA "...La favola è stata la mia prima suggestione nell’accostarmi a quest’opera di Shakespeare, la più “giovanile” delle sue tragedie ma indubbiamente la più popolare, amata e depositata nella memoria collettiva al punto da diventare mito (e da sempre non è cosa semplice trattare coi miti… si possono riscrivere o se ne può accettare la tirannia del “già visto” o “già detto”, si possono rivestire di forme contemporanee o lasciarli parlare da soli, senza pre-testi o ammodernamenti, confidando piuttosto sul loro potere di irradiazione di senso).
Una favola d’Amore e Morte amara, ambigua, visionaria, crudelissima, ma non priva di ironia, offre a Shakespeare lo spunto per una meditazione profonda sul Linguaggio e sulle fatali conseguenze dell’affidamento di un raffinato strumento linguistico a personalità troppo acerbe, non in grado di coglierne la potenziale pericolosità.
Romeo e Giulietta è la tragedia di due adolescenti intrappolati nel Libro che adeguano il loro sentimento alla parola, piuttosto che il contrario, e che si inoltrano e inciampano nelle zone più estreme del discorso amoroso, quelle in cui il desiderio dell’altro convive con un morboso corteggiamento della Morte che, una volta evocata, non si lascerà più risospingere ai margini del racconto.
Con la consueta e sottilissima strategia decostruttiva, Shakespeare mette in scena la più alta e suprema celebrazione del “vero amore” e allo stesso tempo, attraverso una fitta rete indiziaria di rimandi e allusioni, ne rivela il carattere illusorio, mitopoietico e, in ultima analisi, codificato.
Quando in quest’opera si parla di Amore, affiorano immagini molto concrete: libro, lettura, rima, memorizzazione e recitazione che insieme lavorano a un’immagine sorprendentemente sovversiva: amare vuol forse dire leggere libri, memorizzarne il contenuto e enunciarlo quando se ne dà occasione opportuna? Pertanto l’amore potrebbe non essere affatto quel mistero che sorge in maniera autonoma dall’incontro di due anime (tanto caro alla tradizione romantica), quanto una coincidenza culturale, un comportamento altamente convenzionale, un linguaggio, un codice. Ed è proprio in quel codice linguistico - frainteso - che inciampano rovinosamente i due adolescenti di Verona (già predisposti e programmati per l’amore prima ancora di incontrarsi, di innamorarsi, di conoscersi) cresciuti e addestrati a quel misterioso Libro dell’Amore dove è scritto che la prova massima della sua autenticità e perfezione risiede nel fatale abbraccio con la Morte.
Ovviamente il genio di Shakespeare provvede a tenere questo “secondo” discorso in filigrana e tra le righe del suo romance (altrimenti l’opera non sarebbe diventata così popolare) e a far coesistere in palcoscenico differenti discorsività, secondo l’irrinunciabile tecnica metadrammatica e autoriflessiva di tutta la sua drammaturgia.
Credo che a questo punto siano chiare le intenzioni, i moventi e le possibili ulteriorità che la mia messinscena può apportare al mito, senza inoltrarmi troppo a spiegare il perché di alcune scelte. Posso dire che l‘aspetto visivo dello spettacolo ha un chiaro riferimento alla cinematografia burtoniana… soprattutto nei costumi, che inseguono non filologicamente un vago e favolistico Ottocento vittoriano a cui fa da sfondo e contenitore una scena tutta nero e oro, metafora di una città-cripta, dotata di un secondo livello… un più piccolo palcoscenico tutto per sé, o luogo della meraviglia e dell’incanto o, ancora, lirico (o macabro) teatrino dell’Amore da dove i tragici protagonisti potranno “recitare” a se stessi e per se stessi quel copione di cui credono di essere gli autori..."
Giuseppe Marini

Laboratorio per attrici e attori con Giuseppe Marini
"LA DODICESIMA NOTTE o QUEL CHE VOLETE ”di Shakespeare
Giuseppe Marini, uno dei più attenti conoscitori, nell'ambito della “nuova regia”,
dell'opera e del pensiero di William Shakespeare e dopo le sue fortunate
edizioni del Sogno di una notte di mezza estate e la più recente Romeo e
Giulietta , propone ora una sua, come sempre, personale lettura di una delle
commedie più misteriose e raffinate del poeta-drammaturgo: “La dodicesima
notte o Quel che volete”.
Gli ingredienti classici della poetica di Shakespeare: Amore, Morte, Eros,
Teatro nel teatro, Tragedia e Commedia abilmente mescolate, Travestimento,
Ambiguità sessuale (che qui sfiorano la perversione e l'incesto), Follia,
Inganno, raggiungono in questo testo una mirabile e rapinosa fusione.
Un po' come nel Sogno , l'incontro-incastro di più trame e sub-plot , garantisce
quel gioco ritmico particolarissimo (che sarà un tratto saliente di questo
nuovo allestimento) in grado di garantire continue sorprese, novità, accenti,
contrasti...
L'interessante novità dell'opera, che non mancherà di trovare il suo riscontro
registico, consiste in un'attenta esegesi della Musica (famosissimo l'incipit
del testo pronunciato dal Duca Orsino a proposito di Musica, Amore,
Eros) come complice e fedelissima "compagna" di esplosioni del sentimento,
sia in senso positivo- edificante, ma anche di tellurica, devastante, (auto)
distruttiva tragicità.

LABORATORIO CON ELEONORA DANCODal 25 al 29 giugno 2012

Laboratorio su nuovi spettacoli stagione 2012-13.

Uno studio preliminare rivolto ad attrici ed attori.

“Il mio lavoro unisce le diverse discipline che compongono la presenza scenica dell'attore. In esso si deve racchiudere un'insieme di qualità espressive che possano da sole sostenere la scena. Il corpo, la voce, l'espressione, la disobbedienza rispetto al “per bene” teatrale. La parte più intima e dissacrante, anche verso se stessi. Nella semioscurità del nostro pensiero possiamo essere capaci di tutto. L'inconscio è come una danza. Dare una forma, un respiro allo strato della nostra corteccia.” Eleonora Danco

Si lavorerà sui ricordi dell'infanzia sui condizionamenti infantili. Sulla memoria attraverso il