«L’eredità» di Pizzech
— CASTIGLIONCELLO —
STA PROVANDO nello stesso anfiteatro di Castello Pasquini in cui domani sera, alle 21, sarà sotto i riflettori con «L’eredità» di Bernard Marie Koltès. Un debutto assoluto in vista della prima al Festival di Ventotene venerdì prossimo, per poi riprendere a novembre al teatroinscatola di Roma. Un anno e mezzo lo studio del testo per il 37enne regista livornese Alessio Pizzech che sembra soffrire mentre dirige Sara Bettella, Celeste Gugliandolo, Antonia Daniela Marras, Irene Lepore, Giuseppe Nitti, Francesco Wolf, «cuciti» magistralmente da Elena Croce. Un Alessio Pizzech (nella foto) ex enfant-prodige dal curriculum da paura, non si contano più le sue regie di prosa e di lirica.
Pizzech, sono i tempi a farla soffrire?
«Sì, i tempi emotivi. Il mio è un lavoro empatico, sono con l’attore».
Lei che l’attore l’ha fatto...
«E’ importante per un regista».
Elena Croce fa un gran lavoro di cucitura...
«E’ così. E’ un incontro tra generazioni differenti che oggi manca. Un’esperienza che nasce dalla voglia di rimettere insieme un gruppo di lavoro. Questi giovani attori provengono dai miei laboratori teatrali, poi sono stati allo Stabile di Torino e allo Stabile di Genova, infine mi hanno chiesto di tornare a lavorare insieme».
Per loro una grande opportunità potersi misurare sul palco...
«Misurarsi è la parola giusta. Spesso in teatro non si dà questa possibilità perché rispecchia le ipocrisie del mondo del lavoro. Qui c’è una sincerità di approccio, questi ragazzi hanno bisogno di confrontarsi in modo sincero».
Perché ha scelto Koltès, il drammaturgo francese protagonista di suoi laboratori?
«Perché è un autore a cui sono profondamente legato e perché fa poesia e parla di noi, della nostra capacità di amare e di sentirsi amati».
Un autore non per tutti...
«E’ vero, ma sono convinto che abbia una comprensione leggibile a tutti i livelli, a cominciare da quello emotivo. Per me conta che arrivi alle persone semplici, perché il teatro si fa per tutti».
Cinzia Gorla